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Fermentazione, fonte di Umami

a cura di Marie Joveneau

18 Marzo 2024

Fermentazione, fonte di Umami

Non si può discutere di rivoluzione organolettica senza soffermarsi sul concetto di Umami. Questo termine, dal suono esotico, potrebbe suggerire l’associazione con un sapore specifico della cucina giapponese. In realtà, l’Umami si ritrova in tutte le gastronomie del mondo e, se il termine “Umami” evoca qualcosa di orientale, è solo perché fu un giapponese a comprenderne scientificamente la ragione per cui l’uomo, sin dall’alba dei tempi, ha sempre cercato di integrare questo sapore nella sua alimentazione.

Nonostante faccia parte della nostra cultura gastronomica da tempi immemori, l’Umami rimane un enigma per molti occidentali.

Esiste un abisso tra conoscere qualcosa attraverso l’esperienza personale e comprenderla oggettivamente. Con questo articolo, vi propongo di sfatare il mistero del sapore Umami… un compito non del tutto semplice, dato che parlare di gusto implica trattare di chimica, emozioni e cultura.

Facciamo un passo alla volta. Cominciamo svelando la vera funzione del senso del gusto, per proseguire con l’uso inconsapevole di alimenti fermentati come fonte di Umami, e concludere con un approccio più scientifico, smascherando le molecole responsabili di questo curioso e irresistibile quinto sapore.

Senso del gusto

I sensi sono fondamentali per percepire e interpretare il mondo intorno a noi. Oggi, il senso del gusto è prevalentemente associato al piacere gustativo, ma se guardiamo al passato, scopriamo che distinguere i diversi sapori ci permetteva di riconoscere gli alimenti sicuri e nutrienti da quelli potenzialmente tossici e dannosi. Sebbene questa funzione sia diventata meno cruciale per la nostra sopravvivenza, continua a influenzare le nostre preferenze gustative, in quanto molti dei nostri comportamenti sono ancora guidati dall’istinto e rimangono influenzati dalle esperienze e dai ricordi dei nostri antenati.

Dolce, salato e umami sono universalmente i sapori più graditi fin dalla prima infanzia, poiché indicano al nostro corpo la presenza di glucosio, sodio e aminoacidi, essenziali per numerose funzioni fisiologiche. Al contrario, l’amaro e l’acido sono generalmente sgraditi e richiedono un’educazione del palato che avviene solo con il tempo, un’avversione derivante dal fatto che molte piante tossiche contengono sostanze amare e i cibi guasti tendono ad essere acidi.

Umami e cibi fermentati

In ogni cultura gastronomica, inclusa la nostra, si è sempre cercato di ottenere e utilizzare alimenti ricchi di sapore Umami: miso in Oriente, garum nell’antica Roma, crauti in Francia e Germania, parmigiano stagionato in Italia, e così via.

Questi alimenti, fondamentali nelle diverse culture, erano ottenuti principalmente tramite fermentazione e il loro uso si basava sull’esperienza e sulle tradizioni tramandate di generazione in generazione. Chi non ricorda i deliziosi piatti della nonna, arricchiti da una sfumatura di vino, una grattugiata di formaggio stagionato, un’aggiunta di speck o di concentrato di pomodoro? E la magia che operavano, grazie a questi fermentati ricchi di Umami, viene oggi sostituita dalle scorciatoie dell’agroindustria, come il comodissimo dado e la discutibile polvere di glutammato di sodio. Queste invenzioni soddisfano il nostro palato ma, a differenza delle fonti naturali come i cibi fermentati, lo fanno a discapito della nostra salute.

Umami, un sapore (s)conosciuto

Fino a un secolo fa, si riteneva che esistessero solo quattro sapori. Tuttavia, in Giappone nel 1908, il ricercatore Ikeda identificò un “nuovo sapore”, o meglio la molecola responsabile di questo cosiddetto quinto sapore: l’acido glutammico, un aminoacido presente in forma libera in molti cibi fermentati ma anche in alcuni alimenti non fermentati, come il pomodoro maturo e alcuni funghi. Denominò il sapore risultante dalla presenza di questo acido glutammico libero “essenza di bontà”, ovvero Umami, per la sua capacità di esaltare tutti gli altri sapori, rendendoli così più intensi.

Seguendo le orme del professor Ikeda, altri scienziati giapponesi scoprirono due ulteriori sostanze (inosinato e guanilato) che, in sinergia con l’acido glutammico, ne amplificano l’effetto, rendendo qualsiasi alimento irresistibile.

L’uso e la ricerca di questo cosiddetto nuovo sapore sono presenti in tutte le pratiche culinarie del mondo; inizialmente per necessità, perché indica la presenza di una fonte proteica, e successivamente per tradizioni gastronomiche, come esaltatore naturale di gusto. Oggi, le scoperte di Ikeda hanno portato a una svolta decisiva per la nostra cucina, poiché, a differenza del passato, l’Umami viene ricercato in modo del tutto consapevole, con l’intento di rivoluzionare intenzionalmente la gastronomia contemporanea.

In conclusione, c’è dell’Umami nell’aria, nel bene e nel male… ma questo lo vedremo nel prossimo articolo.





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