a cura di Roberto Castellucci
Riflettendo sui piaceri della vita, mi sovviene questo irriverente paragone, per il quale offrirò preventivamente le mie scuse a tutti coloro che potrebbero sentirsi offesi. Il simpatico canide non è solo l’animale in via di estinzione (o non più? Speriamo…) ma è anche il simbolo di una delle tante squadre calcistiche della capitale che, mi chiedevo, quanta gioia potesse apportare ai suoi sostenitori. In effetti, essere tifosi di una qualunque squadra di calcio comporta spesso un notevole esborso economico. Se il biglietto per assistere alle partite negli stadi diventa sempre più caro, abbonarsi ai canali televisivi dedicati non è proprio un toccasana per i nostri conti correnti già provati dalle ultime catastrofi globali. Se a questo aggiungiamo, poi, gli ostacoli che si frappongono al tifo calcistico in presenza, ecco che la mia riflessione diventa attuale. Recarsi allo stadio, infatti, comporta una notevole spendita di tempo, tanto più nelle grandi città. Muoversi con la propria automobile o utilizzare i mezzi pubblici? Troverò il parcheggio? Passerà l’autobus diretto allo stadio e se passerà arriverò in tempo? Mi conviene prendere la metropolitana o un black out improvviso mi bloccherà in una buia galleria per essere poi ritrovato nel 2500 come un fossile del sapiens sapiens? E per rispondere all’interrogativo iniziale, cioè quanto piacere apporti al tifoso una squadra calcistica, non trovo difficile quantificarlo in una miseria temporale, spaziale e umana, dal momento che anche la compagine più blasonata italiana non vince tutte le domeniche e che, soprattutto, nelle nostre tasche non approda nulla. E l’abbacchio, che c’azzecca? In questo articolo il povero agnello sacrificale assume un valore metaforico, ricordandoci simbolicamente un alimento che una parte dei consumatori notoriamente apprezza. Non me ne vogliano animalisti, vegetariani e vegani, ma un abbacchio a scottadito ben cucinato rievoca ricordi lontani, quando il barbecue era il camino, quando le case erano caratterizzate di profumi dei cibi cucinati e non dai deodoranti ambientali, quando la domenica tutta la famiglia si sedeva a tavola e pranzava orgiasticamente, invasata da una calda e affettuosa convivialità.
A concludere, quanto piacere può dare, al confronto, un cibo ben cucinato? Lascio la risposta ai tre lettori che mi seguono, speranzoso di trovare la loro attenzione come scampolo di pensieri lusinghieri non legati all’arte pedatoria. Se arte è…