a cura di Raccontatore teatrale
Sasha Waltz & Guests – Beethoven 7: Un viaggio nell’anima della musica e del movimento
Sasha Waltz & Guests – Beethoven 7: Un viaggio nell’anima della musica e del movimento
Ieri sera, all’Auditorium della Conciliazione, nell’ambito del Roma Europa Festival 2024, mi sono ritrovato a vivere una delle esperienze più intense che il teatro possa regalare. Era la mia prima volta ad assistere a una performance di danza contemporanea di rilievo, e come mi ricorda il mio amico Stefano Romagnoli, “almeno una volta nella vita bisogna vederlo, gnemo” (nel suo dialetto folignate andiamo). E aveva ragione. “Beethoven 7″ di Sasha Waltz è stata una rivelazione. Mi sono seduto a pochi istanti dall’inizio, il respiro quasi trattenuto, in un teatro che con la sua architettura, alle porte di San Pietro, mi trasmetteva già un’emozione palpabile, quasi sacra.
Sasha Waltz, coreografa e regista tedesca, ha saputo coniugare magistralmente la potenza della musica di Beethoven con il linguaggio universale del corpo. La sua compagnia, Sasha Waltz & Guests, ha portato in scena la Settima Sinfonia di Beethoven in una versione che non si limita a celebrare il compositore, ma lo esplora in ogni fibra del suo essere. La musica diventa parte del corpo, e i corpi diventano estensione del suono. Ecco cosa ho vissuto, in quella serata: la musica non si ascolta soltanto, si vede. Attraverso i movimenti dei danzatori, ho percepito ogni crescendo, ogni pausa, ogni battito, come se il palcoscenico fosse un’immensa partitura vivente.
È stata la capacità espressiva dei corpi in movimento a rapirmi. Io, che non provengo dal mondo della danza, mi sono ritrovato a chiudere gli occhi, ogni tanto, lasciando che la musica di Beethoven mi guidasse. Ho capito quanto sia essenziale sentire, più che analizzare. Il mio compito non è quello di critico, ma di narratore empatico, che si lascia trasportare dalle emozioni. E in “Beethoven 7” le emozioni scorrono come un fiume in piena. Le dinamiche fluide, a tratti violente, a tratti morbide, dei danzatori sembravano evocare il conflitto interiore di Beethoven, il suo genio travagliato, il suo desiderio di libertà.
Il primo atto: un’immersione psichedelica
Lo spettacolo si apre con una musica psichedelica che, fin dal primo istante, trasporta lo spettatore in un mondo onirico e straniante. Le luci, studiate in modo così intenso e preciso, si fondono con i movimenti fluidi dei danzatori, creando un’atmosfera quasi ipnotica. Ogni gesto sembra portare dentro di sé un carico emotivo esplosivo, e i corpi, proiettati in un gioco di luci e ombre, appaiono come frammenti di un universo in perenne trasformazione. Questo primo atto è una danza di solitudini che si incontrano e si scontrano, dove ogni elemento visivo e sonoro contribuisce a creare un’esperienza immersiva. Si chiudono gli occhi e si ascolta la musica, ci si lascia andare ai movimenti che sembrano arrivare da un’altra dimensione, e in quel momento si comprende il potere di una coreografia che comunica attraverso i sensi.
Il secondo atto: Beethoven e la sincronia dei corpi
Se il primo atto è un viaggio nei meandri della psiche, il secondo atto si trasforma con la musica di Beethoven. Sul palco, i 13 danzatori si muovono in perfetta sincronia, come un’unica entità. La danza diventa qui più strutturata, organizzata in un ritmo che rispecchia la grandiosità della Settima Sinfonia. Ogni nota sembra essere rispecchiata nel movimento dei corpi, che non sono più frammenti isolati, ma parte di un insieme armonico. Il contrasto tra i due atti è netto, ma non dissonante: è un passaggio naturale, una trasformazione da un caos creativo a una forma perfettamente organizzata. La potenza della musica di Beethoven si espande sul palco e diventa una celebrazione della sincronia, della collaborazione, dell’umanità che si muove all’unisono.
La presenza musicale di Diego Noguera, compositore cileno, ha portato una nuova dimensione alla scena. Non solo la musica di Beethoven, ma una rielaborazione sonora che ha amplificato il senso di profondità e complessità. In certi momenti sembrava che la danza non fosse solo risposta alla musica, ma dialogo, quasi battaglia, tra due universi paralleli.
E poi, Roma. Questa città ha un’anima teatrale che avvolge ogni spettatore. L’Auditorium della Conciliazione, con la sua posizione così vicina a San Pietro, aggiunge una componente mistica all’esperienza. Anche l’architettura, l’atmosfera, sembravano congiurare per trasformare una serata di danza in un rituale collettivo. E lo è stato, un rituale di bellezza e potenza.
Prima di lasciarvi, vorrei lanciare un invito. Chiudete gli occhi, ogni tanto. Lasciatevi trasportare dalla musica, dal movimento, dalla magia che il teatro riesce a evocare. Ecco, questo è stato per me ‘Beethoven 7’: un viaggio nell’essenza delle emozioni, dove il corpo si fa linguaggio e la musica diventa carne. Un’esperienza da vivere, e che, se raccontata, deve saper far piangere anche i critici più duri.
Se non avete mai assistito a una performance di danza, fatelo. Non importa se non comprendete la tecnica. Le emozioni non hanno bisogno di traduzioni.